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Hackability: l’incontro tra bambini, famiglie e studenti per progettare un futuro attento ai bisogni di tutti

Anche nel 2018 si è rinnovata la collaborazione tra Fondazione Paideia e l’associazione Hackability, che da tre anni lavora con il Politecnico di Torino per offrire una alternativa al tradizionale esame di Tecnologia per la disabilità.

Hackability è una no-profit nata nel 2015 per far incontrare le competenze di designer, maker, artigiani digitali, con i bisogni (e l’inventiva) delle persone con disabilità. L’obiettivo di Hackability è fare crescere, sui territori, delle comunità che tramite la digital fabrication, la coprogettazione, l’uso di macchine di prototipazione, stampanti 3D, schede open source, realizzino soluzioni nuove, personalizzate, in grado di soddisfare i bisogni delle persone con disabilità nella vita quotidiana, producendo inclusione e partecipazione.

I risultati di Hackability4Polito – nome dato alla collaborazione – sono stati condivisi di recente in una serata al Centro Paideia: tra i protagonisti ci sono state anche tre famiglie della Fondazione Paideia che sono state co-ideatrici e destinatarie di alcuni prototipi quest’anno.

Ma andiamo con ordine, che cosa significa esattamente Hackability?

“La parola Hackability viene da hackerare nel senso buono del termine (discostandosi dalle violazioni online) e vuole indicare la connotazione positiva nell’intervenire in oggetti – anche semplici e di uso comune – per far sì che chiunque li possa utilizzare, interfacciandosi al meglio delle sue capacità. Ci piacerebbe cambiare la quotidianità affinché tutti gli utenti possano essere abilitati, valorizzando le loro attitudini e potenzialità.”

Risponde alla nostra domanda Giuseppe Airò Farulla, ricercatore dell’Università “Ca’ Foscari” di Venezia, affiliato temporaneamente come docente esterno al Politecnico di Torino, che ha incontrato l’associazione Hackability – di cui ora è socio e collaboratore – qualche anno fa, condividendo da subito l’idea che la tecnologia non vada sviluppata per la persona, ma con la persona.

“C’è una componente emozionale fortissima nel vedere ragazzi che si iscrivono con convinzione a un corso così – un corso breve, che non porta molti crediti a chi lo sceglie, si tratta infatti di un corso facoltativo, piccolino rispetto ai “mostri” che gli studenti devono seguire obbligatoriamente il primo anno. Dovrebbe essere un corso che impegna poco i ragazzi e invece scopri che hanno instaurato un bellissimo rapporto con la famiglia, che si sono buttati nel lavoro con tutto il cuore, hanno preso treni per allontanarsi dalla teoria e capire meglio la quotidianità dei bambini, per riuscire a prototipare uno strumento che, a partire dalle specifiche iniziali, vada veramente a risolvere i problemi del bimbo, concentrandosi su un approccio ludico e non dimenticando di prestare attenzione ai dettagli e ai colori dell’oggetto realizzato.

Poter osservare i cambiamenti in corso, anche negli studenti stessi, questo è stato veramente emozionante.” continua a raccontarci Giuseppe, le cui parole sono supportate anche dall’intervento di Fabrizio Zucca, referente del progetto con Eleonora Salvi per la parte relativa alla Fondazione Paideia: “Una delle cose che apprezziamo maggiormente di questo progetto è la dimensione della reciprocità. Spesso una famiglia con un bimbo con disabilità si trova a rivestire unicamente il ruolo di beneficiario. In questo caso, invece, anche la famiglia, accompagnate dai mentor di Hackability, fornisce un contributo attivo, contribuendo alla creazione di una cultura scientifica in merito alla tecnologia rivolta alle persone con disabilità. Gli studenti si sono trovati cosi a lavorare fianco a fianco con i genitori e i bambini, che hanno rivestito a tutti gli effetti il ruolo di membri del team di lavoro, tra una serata davanti a una pizza e l’altraconclude sorridendo Fabrizio.

 

 

La rilevanza del lato della ricerca scientifica e della coprogettazione emerge anche dal racconto di Giuseppe:

“La componente tecnica è sicuramente sfidante, negli anni scorsi sono stato molto coinvolto soprattutto nelle valutazioni e i ragazzi non smettono di sorprendere. Prendiamo i tre casi di quest’anno per esempio: l’incontro tra Andrea, la sua famiglia, i mentor di Hackability e gli studenti ha portato alla realizzazione di un go-kart, modificato secondo le sue esigenze attraverso l’inserimento di componenti ad hoc. Il go-kart gli servirà per imparare a pedalare in sicurezza, mantenendo i piedi bloccati e quindi permettendo al bimbo pieno controllo dei pedali e limitazione delle spinte laterali delle gambe. Sono state progettate anche delle scarpine contenitive su misura, mentre la ASL ha fornito un supporto su cui agganciare il sedile. Ora Andrea più divertirsi e imparare a pedalare in sicurezza!

Ancora diverse erano le esigenze di Fabio, un bimbo che si serve di un deambulatore per muoversi: in questo caso si è intervento proprio su questo oggetto importante e di uso quotidiano per lui, inserendo un tavolino e un supporto per il braccio studiati ad hoc.

Il desiderio di Francesco, il terzo bambino, era invece quello di poter stare a mollo in sicurezza, dato che ama molto l’acqua, ma ha difficoltà a galleggiare in autonomia. Per lui è stato pensato un salvagente sicuro e facile da indossare, come fosse un vestito. Grazie a uno slip in neoprene che aiuta a stare a galla, ora Francesco può godersi il mare in completo relax.”

Prima di salutarci, abbiamo chiesto a Giuseppe di spiegarci come funziona la realtà di Hackability.

“Hackability mette a disposizione il proprio mentori, quest´anno quasi 10, le strutture della sua rete nazionale, e a sponsorizzare le attività degli studenti coinvolti in Hackability4Polito attraverso l´acquisto di beni e servizi.

Con Hackability4Polito Il messaggio che proviamo a trasmettere è che gli ingenieri del futiro, devono ricordare che il loro lavoro potrà impattare anche su persone con bisogni e sensibilità diverse, di cui tener conto. Noi ci poniamo come obiettivo sensibilizzarli affinché, qualsiasi sia il loro percorso – che progettino una strada, uno strumento di lavoro, un computer – pensino a chi sia destinato e mettano tutta la cura possibile per realizzarlo al meglio.” comincia a raccontarci.

“Il corso universitario “Tecnologie per la disabilita´”, proposto da dieci anni dal Politecnico – un esempio virtuoso nel settore – è un corso a scelta: ad oggi riceviamo moltissime candidature, almeno 250 richieste all’anno.

Proponiamo l’interazione con Hackability su base volontaria e uno strumento molto rilevante nella selezione degli studenti è la compilazione di un questionario. Il maggior criterio di valutazione e ammissione resta la motivazione: c’è chi vuole veramente partecipare al progetto perché ha una storia simile in famiglia, chi vuole specializzarsi in questo settore, chi “semplicemente” è interessato alla sfida tecnologica. Anche in questo ultimo caso notiamo moltissime evoluzioni durante il percorso e una vera e propria maturazione dello studente grazie al rapporto che si instaura con la famiglia. Si passa dal voler realizzare un oggetto che funzioni a realizzare un oggetto che funzioni per il bambino con il bambino.

I prototipi sono sempre realizzati in doppia copia, di modo che una resti alla famiglia e un’altra ad Hackability, e tutto ciò che scopriamo o realizziamo rimane disponibile open source e online, a disposizione di chiunque voglia replicare o modificare l’esperienza. L’associazione Hackability è in continua crescita: aumentano i numeri di persone coinvolti nell’esame e nella prototipazione, si diffondono team anche in altre parti d’Italia, che possano sviluppare e produrre oggetti prototipati . Si è partiti con tanta buona volontà, ora i mezzi stanno crescendo e siamo felici perché speriamo di poter offrire a sempre più persone la possibilità di sperimentare dentro Hackability.”